Sistemazioni liturgiche: guardando le due prime chiese dei Gesuiti. Con qualche perplessità


Due chiese esemplari, unite da una nascita e un destino comune: essere all’origine della conformazione dello spazio liturgico post tridentino, erette dall’Ordine religioso fondato proprio quale campione della Riforma cattolica, meglio nota come Controriforma.

La chiesa del Gesù a Roma, chiesa madre della Compagnia di Gesù, e la chiesa di San Fedele a Milano, realizzata sotto la guida del card. Borromeo, estensore delle Istruzioni sulla costruzione delle chiese (1577) che hanno dato concretezza alla visione stabilita dal Concilio di Trento. Le due chiese sono state completate a pochi anni di distanza l’una dall’altra: San Fedele è stata consacrata nel 1579, la chiesa del Gesù è stata consacrata nel 1984 ma la sua costruzione era cominciata prima di quella milanese. Esse costituiscono due tra le più alte espressioni architettoniche dell’epoca e divengono i momenti germinali del Barocco, lo stile che ha impresso le immagini e i colori della gloria divina sulle pareti, sulle volte, nel tripudio di abbellimenti con ricercata grazia disseminati ad accompagnare e far risplendere ovunque il diffondersi della luce sulle superfici.

Ampie navate, libere da colonne grazie alle strutture rette da possenti pilastri perimetrali, permettono alla vista di abbracciare la complessità dello spazio e alla voce di raggiungere indisturbata ogni suo ambito, conferendo all’insieme una sovrana, armonica unitarietà che trova il luogo principale nella cupola, aperta come un grande abbraccio celeste sul tabernacolo e sull’altare maggiore.

Pur nelle differenti dimensioni e nella ricchezza delle ornamentazioni, poiché il Gesù, nel centro della Cristianità, è ben più ampia e ricca di sfolgoranti opere d’arte rispetto alla milanese San Fedele, le due chiese, la prima e la seconda chiesa dei Gesuiti, sono affratellate e hanno percorso assieme la lunga stagione post tridentina.

Proprio a conseguenza della loro origine così saldamente radicata nel momento della nascente Controriforma e dell’incipiente Barocco, è molto significativo oggi il modo in cui vengono poste di fronte alla sfida del rinnovamento liturgico alla luce del Concilio Vaticano II.

È chiaro a tutti che lo spazio liturgico postconciliare è ancora in corso di maturazione, ed è oggetto di continuo ripensamento pur entro le chiare linee tracciate dalla costituzione Sacrosanctum Concilium. E, coerentemente con la necessità di affrontare questo passaggio con somma prudenza, nelle due chiese si trovano oggi due proposte di risistemazione dello spazio liturgico: risulta interessante metterle a confronto proprio per l’alto significato che esse hanno per la storia della Chiesa.

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Chiesa di San Fedele. Foto di Luca Casonato, courtesy San Fedele Arte.

Nella chiesa di San Fedele a Milano da diversi anni è proposta una soluzione dagli evidenti caratteri di provvisorietà, che consente alla comunità di esperimentare un nuovo rapporto di prossimità tra fedeli e altare. Un altare in legno è stato posto su un prolungamento della pedana presbiterale mentre le prime file delle panche sono state ridistribuite in modo tale da disporsi con movimento avvolgente verso il fulcro della celebrazione eucaristica. Nello spazio dell’aula, di dimensioni relativamente limitate, questa nuova situazione contribuisce a conferire un sapore di familiarità all’insieme. L’architettura storica è rispettata, la liturgia postconciliare vi è praticata con garbato rispetto per la sistemazione post tridentina.

Nella chiesa del Gesù di Roma un nuovo allestimento liturgico dell’area presbiterale è stato completato nel giugno 2022 e la sua progettazione ha visto la partecipazione di illustri professionisti ed esperti liturgisti. Per quanto anche questo intervento sia evidentemente “reversibile”, si presenta con una più marcata intenzione di stabilità.

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Chiesa del Gesù, la navata. Foto L. Servadio

Vi sono tre pedane circolari di varia sopraelevazione: minore quella sulla destra ove è posta la sede del presidente, maggiore quella centrale ove è posto l’altare, ancora maggiore quella in cornu Evangelii su cui si eleva l’ambone.

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Le tre pedane. Foto L. Servadio

Tali pedane sono disposte di fronte al presbiterio storico. Una corona retta da quattro catene evidenzia il luogo dell’altare. L’allestimento è stato studiato con puntuale e approfondita attenzione ai significati liturgici e simbolici ed è presentato nel dettaglio in questo sito web: https://gesuiti.it/roma-gesu-nuovo-presbiterio/ .

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L’altare. Foto L. Servdaio

Proprio in relazione all’accuratezza dello studio sulla base del quale questo intervento è stato compiuto, si pone la domanda se i risultati raggiunti siano pienamente soddisfacenti. E la risposta non è semplice, al contrario: nel porla ci si rende conto di quanto sia gravoso e problematico intervenire in un luogo così carico di storia, di arte, di fede come la chiesa madre dei Gesuiti. Ed essendo tanta l’attenzione e la sapienza riposta nell’opera compiuta, agli occhi di un osservatore esterno sorge la questione se non sia necessario riservare e riversare ancora maggiore attenzione e dibattito e ripensamento per un’opera di tale valore e di tale significato.

Infatti la vista delle tre pedane sorprende come qualcosa di totalmente estraneo al sito: una sovrapposizione calata a ingombrare la magnifica pavimentazione intarsiata dell’aula respingendo indietro lo schieramento delle panche ma senza stabilire un maggiore rapporto di prossimità con l’assemblea. Per ribadire: laddove sarebbe stato opportuno ottenere una sistemazione che consentisse una più diretta partecipazione attiva dei fedeli, fondata sull’apertura alla prossimità, qui si ottiene piuttosto di esaltare la separazione tra spazio presbiterale e assemblea. Il contrario di quanto la riforma liturgica richiederebbe.

Non solo, da più parti si evidenzia come nel concepire lo spazio della celebrazione sia da evitare la “pedana plenaria” ovvero lo spazio presbiterale su cui si allineano diversi poli liturgici come fossero su un palcoscenico. Qui la divisione in tre parti della pedana presbiterale dovrebbe servire per accentuare la specificità delle diverse polarità. Ma in realtà si ottiene soltanto una frammentazione della pedana che, pur divisa in tre, resta sempre “plenaria”. Come se, da un lato mostrando di voler superare la sistemazione post tridentina, in realtà la si volesse riprendere sotto mutate spoglie. Non sarebbe meglio, piuttosto che lanciarsi in simili operazioni mimetiche, e pertanto fuorvianti, recuperare lo spazio post tridentino nella sua pienezza, lasciandolo integro nella sua inegualgiabile dignità?

La stessa coloritura delle pedane appare incongrua rispetto all’insieme dell’architettura. Le pedane tendono a un nocciola-miele chiaro mentre gli elementi che vi poggiano sopra assumono tonalità più scure, e bruniti sono lo schienale della sede così come l’altare e il parapetto dell’ambone. Su quest’ultimo e nelle facce dell’altare si aprono squarci chiari, come intagliati da fulmini.

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L’ambone. Foto L. Servadio

Nel complesso si ha l’impressione di un tentativo di introdurre alcuni gesti artistici dal sapore contemporaneo: ma solo accennati, non pienamente elaborati, probabilmente nel timore di invadere con troppa prepotenza uno spazio di tale portata. Si ha l’impressione di trovarsi di fronte a una serie di elementi la cui evidente provvisorietà cerca di nascondersi con un’elaborazione studiata e accompagnata da spiegazioni che, per quanto approfondite, non riescono a conferire compiutezza a un’opera di evidente estraneità. Insomma, l’impressione è che si sia molto lontani da quel tipo di lavori che trovano la propria giustificazione nella chiarezza e nell’equilibrio raggiunti. Chiarezza ed equilibrio che portano l’osservatore a pensare: ecco, è come se ci fossero sempre stati.

Qui invece sembra di vedere come dei dischi volanti in attesa di ripartire per altre mete.

Lascia stupiti che tante energie siano state investite per ottenere un risultato di tal fatta. Il che ricorda un poco quel che è avvenuto, sul terreno dell’edificazione di nuove chiese, con la chiesa Dio Padre Misericordioso nel quartiere di Tor Tre Teste a Roma: doveva essere l’emblema del Grande Giubileo dell’Anno 2000, è stata progettata e realizzata con immenso spiegamento di forze e alla fine si è ottenuta bensì una stupenda scultura urbana che conferisce nuova centralità e dignità al quartiere, ma una chiesa tra le più problematiche e ostiche mai realizzate, come conseguenza di un accumulo di malintesi (v. al riguardo quanto esposto nel volume “Architettura e liturgia. Intese, oltre i malintesi” https://www.tabedizioni.it/shop/product/architettura-e-liturgia-890 ).

La sistemazione liturgica che si è voluta introdurre nella chiesa del Gesù è evidentemente frutto del tentativo di trovare una nuova armonia tra l’ambiente storico e quanto richiesto della riforma liturgica: così com’è oggi, pur con tutti i problemi che presenta, resta un fatto importante soprattutto perché può consentire di dar luogo a una più vasta discussione sull’argomento.

E un’ultima domanda sorge nel visitatore: date le perplessità che emergono dalla soluzione provvisoria attuale e data la rilevanza della chiesa del Gesù, perché non procedere con questa come si fa per le cattedrali, ovvero convocando concorsi di ampia portata preceduti e accompagnati da un’approfondita campagna esplorativa e una vasta discussione che coinvolge esperti, presbiteri, liturgisti, professionisti, la comunità nel suo complesso e che consente di mettere a confronto diverse ipotesi di soluzione, così da cercare di ottenere non un tentativo provvisorio, ma una sistemazione ben studiata e radicata, che veramente armonizzi le necessità attuali con il legato storico?