Il Presepe: una tradizione francescana che illumina il Natale


di Ester Scoditti

È antica costumanza, soprattutto in Italia, che, a partire dalla prima domenica d’Avvento, si preparino nelle chiese e nelle case il Presepe e l’Albero di Natale che ci fanno rivivere ogni anno la nascita del divino Bambino ossia del Salvatore.

La tradizione del presepe risale al medioevo, a san Francesco d’Assisi, il quale, ispirato probabilmente da un pellegrinaggio in Terra Santa, volle far rivivere, attraverso un presepe vivente, a Greccio nel 1224, la nascita del Bambino Gesù e la gioia legata all’evento

Alcuni anni dopo, nel 1291, Arnolfo di Cambio rappresentò plasticamente, per la prima volta, in S. Maria Maggiore a Roma, il presepe che comprende la Madonna col Bambino, S Giuseppe, il bue, l’asinello e i Magi.

Negli anni a seguire, l’evento fu celebrato da pittori e scultori, che hanno rappresentato più o meno realisticamente e liberamente la nascita di Gesù, come descritta dagli evangelisti Luca e Matteo. Solo nel XVIII secolo, tuttavia, si formarono le grandi scuole del presepe un po’ dovunque in Italia che con arditi scenari, personaggi, animali e figure varie hanno costruito un insieme di storie e riferimenti simbolici.

Dette scuole raggiunsero sopratutto a Napoli uno sviluppo straordinario favorito anche dai Borboni a partire da re Carlo ( 1759-1788), che amava le arti e l’artigianato. Così ai grandi artisti e architetti, come Solimena e Vanvitelli, si affiancarono le maestranze specializzate nell’Arte del Presepio tra cui si ricordano A. de Vivo, i Sammartino, i Bottiglieri, i Celebrano, i Vaccaro, che fecero rivivere la nascita di Gesù nella Napoli del ‘700 avvalendosi di materiali vari come il sughero, il legno, la terracotta, la cera, la plastica, etc.

In questo periodo le famiglie nobiliari gareggiavano fra loro per avere il presepe più bello, di dimensioni monumentali, che talvolta poteva occupare un’intera stanza. Il fine era di stupire l’osservatore curando i particolari fino al punto di vestire le statuette con materiali preziosi e adornarle con veri gioielli.

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ROma, Basilica dei SS Cosma e Damiano, Presepe permanente. Foto Ester Scoditti

Fra i presepi superstiti, ci sono quelli conservati nel Palazzo Reale di Caserta e nel Museo di San Martino a Napoli; anche a Roma ve n’è uno, all’interno della Basilica dei SS Cosma e Damiano: è un presepe permanente, perciò si può visitare durante tutto l’anno. Come tutti i grandi allestimenti dei presepi napoletani, ha un impianto scenografico che, oltre a presentare la scene tipiche della Natività e dell’Annuncio ai pastori, mostra realistiche scene di vita quotidiana, riferibili alla Napoli del 700. Le statuette sono in legno o in terracotta, l’abbigliamento è confezionato in stoffa su misura, gli occhi sono in vetro e le mani sono in legno finemente lavorato. La grotta con Maria, Giuseppe e il Bambin Gesù è evidenziata da bellissime colonne corinzie che, probabilmente, vogliono ricordare gli scavi iniziati a Ercolano, Pompei e Stabia proprio nel XVIII secolo. Sopra a essa un gran numero di angeli, i puri spiriti, si libra nell’aria glorificando Dio e augurando pace agli uomini. Loro compito è anche di assistere Cristo favorendone il dialogo con l’umanità.

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Un bambino vestito a festa, opera di Giuseppe San Martino (1720-1793).

I 26 pastori di questo nostro presepe, che vegliano nella notte il loro gregge, ci ricordano le parole dell’evangelista Luca il quale riferisce che l’Angelo del Signore si avvicinò a loro mentre una forte luce li avvolgeva, spaventandoli. “Non temete – disse l’Angelo – ecco, vi annuncio una grande gioia, oggi nella città di Davide è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore”

Nei presepi napoletani fra i pastori c’èanche il Benino, una figura interessante che la leggenda popolare presenta mentre sogna il presepe e, quando si sveglia, racconta della nascita del Bambino. Esso potrebbe essere interpretato come l’umanità che “dorme”davanti al divino, ma accoglie l’evento straordinario, cominciando dai pastori che accorrono subito alla grotta e trovano il bimbo avvolto in fasce e deposto in una povera mangiatoia.

Attratti dalla luce arrivano anche i Magi: i sapienti, simbolo probabilmente dell’incontro fra Oriente e Occidente, che secondo la tradizione cristiana partirono in gran fretta dalla loro terra quando, secondo il racconto di Giovanni Crisistomo, in cima al monte Vittoria apparve loro una stella che li guidò nel loro viaggio.

Arrivarono dall’Oriente sopra tre animali, il cavallo, il dromedario e l’elefante, con alte figure orientali al loro seguito che si vedono un po’ dovunque nel presepe. Indossano abiti di aspetto inconsueto, hanno la pelle scura, i loro nomi sono Gasparre, Melchiorre e Baldassarre e offrono al Bambino oro, incenso e mirra: i doni che normalmente si offrivano a un re.

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Roma, Basilica dei SS Cosma e Damiano, presepe. Figure rappresentanti i mestieri e i mesi dell’anno. Foto Ester Scoditti

La luce sembra dominare in questa notte buia, e rappresenta l’amore di Dio rivelato nella persona del Verbo incarnato, che si illumina a Natale per tutti noi. Al racconto evangelico si aggiungono varie figure che rispecchiano la Napoli del ‘700 con reminiscenze del mondo pagano. Il vinaio ci ricorda Bacco, la donna che fila fa pensare alle Parche e i 12 venditori sono l’allegoria dei 12 mesi dell’anno. Così abbiamo per Gennaio il macellaio o il salumiere, per Febbraio il venditore di ricotta, per Marzo il pollivendolo, per Aprile il venditore d’uva, per Maggio il venditore di ciliegie e frutta, per Giugno la panetteria, per Luglio il venditore di pomodori, per Agosto il venditore di cocomeri, per Settembre il venditore di fichi, per Ottobre il vinaio, per Novembre le castagne e per Dicembre il pescivendolo.

L’osteria occupa un posto importante e può essere variamente interpretata: potrebbe rispecchiare il benessere della città o il tentativo di raggiungerlo, ma al tempo stesso il rischio di compiere lunghi viaggi, perché i vangeli narrano che le osterie avevano rifiutato di dare ospitalità alla sacra famiglia.