di Stefano Mavilio
Le chiese sono vere dimore umane, costruite non per abitarci (…)
la funzione liturgica consiste nell’essere segno.
(Giancarlo Santi, conversazione privata, dicembre 2002)
Conobbi monsignor Giancarlo Santi alla fine degli anni ’90. All’epoca ero un giovane assistente ai corsi di progettazione nella Facoltà di Architettura all’Università la Sapienza di Roma. Il mio docente, stanco di assegnare quale tema progettuale le solite residenze, musei e parcheggi, decise di virare su un tema ai più sconosciuto: la chiesa, tema questo letteralmente espulso dalla Facoltà, fin dai tempi della cacciata di Saverio Muratori, che ai suoi studenti faceva progettare una cappellina ad aula unica con copertura a volta. Con queste premesse fui scelto dal mio professore per cercare un contatto che ci desse una mano ad impostare il l programma didattico, almeno per gli aspetti liturgici e normativi. Fu così che dandomi da fare, ebbi un appuntamento con don Giancarlo, allora direttore dell’ufficio BB. CC. e ad interim dell’edilizia di culto della Conferenza Episcopale Italiana.
Ricordo chiaramente quel giorno. Bussai timidamente alla porta, fui ricevuto. Ci presentammo. “Sono anni”, esordì don Giancarlo, “che aspettavo che qualcuno dell’università bussasse a questa porta, ora lei è qui”.
Fu l’inizio di una bella stagione che iniziò con la sua collaborazione al corso di progettazione, proseguì con l’istituzione del <Master in progettazione di chiese>, e andò avanti con altre iniziative, fra le quali la pubblicazione della guida delle chiese parrocchiali di Roma per i tipi di Electa, curata dal sottoscritto e dal prof. Giorgio Muratore.
Al termine del suo secondo mandato in CEI rientrò a Milano a fare il parroco nello stupore di tutti noi che lo immaginavamo Vescovo. Contemporaneamente andava ad esaurirsi la bella stagione dell’edilizia per la liturgia, non senza aver formato una o due generazioni di professionisti finalmente capaci di affrontare il tema dell’edificio-chiesa con competenza e correttezza. Contribuì a tale scopo l’istituzione dei cosiddetti <concorsi pilota> da lui fortemente voluti nella logica di togliere l’assegnazione degli incarichi all’arbitrio e di consegnarlo all’istituto del concorso. Mi raccontava don Giancarlo quanto avesse dovuto penare per fare accettare la sua proposta.
Non elencherò i suoi meriti ulteriori, salvo citare la collaborazione con la Fiera di Vicenza e le sue molteplici iniziative editoriali e didattiche; tantomeno scriverò la sua biografia, che è pubblicata su internet e non serve replicarla. Lascio infine ad altri il compito di ricordarlo con parole diverse. Sono certo che molti seguiranno il mio esempio, in particolare fra quel gruppo di <ex-giovani> che lui volle crescere ed istruire. Mi permetto soltanto di pubblicare un suo scritto, una lezione tenuta al Master in anni recenti, nella quale spiegava agli studenti quali dovessero essere le caratteristiche di una chiesa contemporanea.
Don Giancarlo è mancato la mattina di giovedì 24 novembre 2022.
Buona lettura e che il buon Padre -sia benedetto il suo nome- abbia cura di lui. Riposi in pace.
LEZIONE DI MONS. GIANCARLO SANTI TENUTA AL <MASTER IN PROGETTAZIONE DEGLI EDIFICI PER IL CULTO>, Facoltà di Architettura, Università la Sapienza, Roma
8 giugno 2018
Temi
1. Luce e ombra
Preciserei i termini: non luce e ombra ma luce e tenebre.
Preciserei la sequenza: non luce e tenebre ma dalle tenebre alla luce
Preciserei il tipo di luce: luce naturale e luce artificiale
Preciserei la precisazione precedente: luce artificiale a fuoco vivo e luce artificiale immobile
Precisazione preliminare. Nei luoghi di culto cristiani cattolici la luce non è considerata una valore in sé e per sé ma in quanto si riferisce a Cristo che dice di sé “io sono la luce del mondo”, a Cristo che vince il principe delle tenebre.
Diventa più espressiva di notte e lo diventa in modo specialissimo nella notte di Pasqua durante la Veglia Pasquale. All’inizio di quella celebrazione la basilica è immersa nelle tenebre che vengono vinte gradualmente dalla luce quando il cero acceso viene portato processionalmente in basilica stipata di fedeli in attesa. Il cero pasquale acceso è simbolo di Cristo risorto, luce che vince le tenebre. Mentre il cero pasquale avanza nella basilica si accendono i ceri tra le mani dei fedeli e gradualmente anche la chiesa si illumina. Certo, altra cosa è la basilica quando è illuminata dalla luce elettrica, altra cosa è la basilica quando è illuminata dalla luce vibrante delle candele che fino all’inizio del XX secolo era l’unica luce disponibile.
La relazione simbolica tenebre/luce era più evidente durante le celebrazioni della Messa nei primi tre secoli quando la Messa veniva celebrata nella notte tra sabato e domenica perché la domenica non era girono festivo.
Oggi, questo passaggio simbolico si avverte appena, dal momento che la Messa, di solito, si celebra di giorno. Ma anche in questo caso durante le celebrazioni della Messa, la chiesa viene illuminata. In qualche caso il passaggio dalle tenebre alla luce e viceversa viene sottolineato con un piccolo artificio.
Più in generale, anche lontano dalle celebrazioni, una chiesa cattolica normalmente dovrebbe consentire di apprezzare il rapporto/contrasto tra luce e tenebre. Una chiesa non dovrebbe essere mai del tutto illuminata eliminando del tutto le tenebre come se fosse un laboratorio scientifico per due buoni motivi. Dovrebbe essere illuminata perché la liturgia ha bisogno della luce per consentire all’assemblea di agire, di essere evidente e riconoscibile nel suo insieme nei suoi singoli componenti. Non dovrebbe essere sempre in pienissima luce perché continua la lotta tra la luce e le tenebre perché le tenebre non sono ancora state definitivamente sconfitte. Quando saranno state sconfitte definitivamente la luce avrà il dominio totale dello spazio. Solo in alcune occasioni, raramente cioè, la chiesa dovrebbe essere illuminata in modo festoso e tendenzialmente totale. Questo dovrebbe avvenire solo in rare occasioni per sottolineare il fatto che siamo ancora nel tempo.
2. Musica e silenzio
Un edificio per il culto cattolico è un edificio costruito perché, nel silenzio, durante le celebrazioni liturgiche risuoni la Parola, per l’ascolto delle Parola, perché risuoni anche la risposta umana, detta o cantata, alla Parola proclamata o cantata. E’ un edificio in cui la parola e il dialogo sono protagonisti. La parola può essere detta a voce alta, a voce sommessa, cantillata, cantata. La musica può accompagnare la parola. Il silenzio non può mancare. In caso contrario, senza silenzio cioè, non vi sarebbe ascolto della parola né vi sarebbe la possibilità di elaborare una parola umana che nasce sempre dal silenzio. Fuori dalle celebrazioni nelle chiese il silenzio dovrebbe dominare e lasciare parlare l’architettura liturgica, le immagini, i profumi, le presenze anche solo avvertite.
Ecco perché in un luogo di culto cristiano sono tanto importanti il luogo dal quale si proclama la Parola, il luogo dal quale si ascolta la Parola e si risponde ad essa coralmente, il luogo nel quale hanno sede gli strumenti e i cantori, la qualità acustica dell’architettura quando nella scelta del luogo si supera la dimensione domestica. E’ importante inoltre che l’edificio non venga costruito in un contesto rumoroso perché senza silenzio non si può celebrare.
3. Orientamento della chiesa
I luoghi per il culto cristiani, quando sono di tipo basilicale, possono essere orientati, cioè possono avere la facciata con l’ingresso a ovest e l’abside a est. Questa disposizione ha un significato escatologico: il ritorno di Cristo glorioso avviene da oriente e i fedeli sono in attesa rivolti a oriente. Questo tuttavia non è un obbligo tanto è vero che oggi non è richiesto nella costruzione delle chiese. In alcuni momenti storici la simbolica del sole che nasce è stata sentita in modo più intenso che in altri. Attualmente la simbolica di tipo cosmico/astronomico, in un contesto culturale molto caratterizzato in senso scientifico, non sembra avere più presa alcuna. La basilica di Sant’Ambrogio è orientata. E’ stata costruita in un’epoca in cui la sensibilità simbolica abbracciava anche la dimensione cosmica; ha l’ingresso a ovest e l’abside a est. Questo fatto, però, è scarsamente avvertibile, non pare sia avvertito e non pare abbia particolari conseguenze dal punto di vista celebrativo.
4. Movimento dei fedeli all’interno della chiesa
In un edificio di culto cristiano i fedeli alternano momenti statici e momenti dinamici. Quelli statici sono i più durevoli. Durante la celebrazione della Messa, nella nostra area culturale, i fedeli stanno nella navata rivolti all’ambone e all’altare e assumono tre tipi di postura: in piedi per la preghiera, seduti per l’ascolto, in ginocchio per l’adorazione. Si muovono in modo processionale per andare a ricevere la Comunione. La stasi, tuttavia, non è immobilità. In altri contesti culturali è molto usata anche la danza o una stasi piuttosto dinamica. Anche il corpo a suo modo prega.
Al di fuori del culto i fedeli possono muoversi liberamente per tutta la navata.
E poi ci sono i momenti dinamici come le processioni ai quali di volta involta partecipano solo alcuni, altre volte tutta l’assemblea.
5. Geometrie e partizioni dello spazio
Il culto cristiano, la celebrazione dell’Eucaristia, può svolgersi in spazi molto diversi. L’importante è che i fedeli, molto o poco numerosi, possano incontrarsi, riconoscersi, formare una piccola comunità e compiere alcuni gesti caratteristici come ascoltare la Parola e spezzare il pane, per un tempo che normalmente dura un’ora ma che in alcune occasioni come la Veglia Pasquale può arrivare a due ore. Lo spazio a disposizione può essere: uno spazio non delimitato e scoperto (un semplice prato, un parco), delimitato e scoperto (una piazza), delimitato e coperto (una grande tenda come a Taizè), uno spazio domestico (come nel Cenacolo), uno spazio monumentale (come San Pietro a Roma o la basilica di sant’Ambrogio). Le geometrie utilizzate o scelte sono variabili e dipendono da fattori diversi legati al contesto storico, culturale. In qualche caso le geometrie sono scelte altre volte sono semplicemente accettate. Le forme geometriche più note sono quelle che hanno caratterizzato la storia dell’architettura nell’area del mediterraneo e che spesso sono state esportate anche in altre aree culturali. Tuttavia non esistono geometrie specifiche o di carattere simbolico vincolanti. Sono ammesse le geometrie, i tipi, le forme simboliche presenti nel contesto. Nel contesto mediterraneo è molto diffusa la tipologia della basilica a una, tre, cinque e più navate. Tuttavia la basilica, come è noto, è stata scelta dai cristiani proprio perché non era un edificio sacro ma un edificio di uso civile e giudiziario.
Lo spazio di un luogo di culto cristiano cattolico è articolato ma non diviso perché l’assemblea che vi si riunisce è unitaria. Una parte dell’edificio è utilizzato in prevalenza del clero, l’altra dai fedeli. Lo spazio dell’intero edificio di culto è polarizzato da due fuochi costituti da due piccoli monumenti/architetture: l’ambone e l’altare, come risulta in modo evidente nella basilica di Sant’Ambrogio.
6. Iconografia
Dal punto di vista iconografico i luoghi di culto cristiani cattolici non sono vincolati ad assumere una forma specifica e sono molto variabili, si va dalla semplice abitazione al monumento a scala urbana e al santuario a scala territoriale. Gli elementi che lo caratterizzano e le forme non sono stati canonizzati come è avvenuto nel contesto della Chiesa ortodossa. Nel corso del tempo vi sono e vi sono state delle preferenze per i luoghi di culto più antichi e per le loro forme ma questo non ha impedito di accogliere le suggestioni che di volta in volta nel corso della storia la cultura contestuale architettonica ha elaborato. Alcuni elementi come il campanile non sono originari ma sono nati nel corso del tempo per motivi pratici.
Vi sono stati periodi in cui, per svariati motivi, nel campo dell’iconografia in architettura ha dominato l’uniformità. Tuttavia nella Chiesa cattolica per l’architettura dei luoghi di culto la grande regola rimane la varietà contestuale. Dal punto di vista formale la storia dell’architettura occidentale testimonia che i luoghi di culto hanno continuato a mutare in relazione al mutare della cultura contestuale. Tuttavia la Chiesa, che non è nata in Europa ma in Medio oriente, non si identifica con alcuna cultura ma si fa presente e dialoga con tutte.
7. Celebrante
In un luogo di culto cristiano cattolico è l’intera assemblea che celebra, non celebra solo il sacerdote. Il sacerdote presiede, guida la preghiera e compie alcuni gesti specifici ma sempre in stretta relazione e in dialogo con i fedeli presenti. Il celebrante non è il protagonista. protagonista è l’assemblea.
8. Giorno di festa nella settimana
Il giorno di festa settimanale dei cristiani cattolici è la domenica, giorno nel quale a cadenza settimanale si celebra la risurrezione di Cristo. Alcune feste annuali, come il Natale o l’Assunzione possono cadere in altri giorni.
9. Ore di preghiera nell’arco della giornata
I cristiani pregano singolarmente, in famiglia, in piccole o grandi comunità ogni giorno nei luoghi più diversi. Sui mezzi pubblici, in casa, in ufficio, in chiesa. Non vi sono luoghi prestabiliti ove pregare.
Non vi sono ore stabilite per pregare. Ogni ora è adatta. I fedeli solitamente pregano al mattino, inizio della giornata, a mezzogiorno e alla sera, fine della giornata.
Alcuni gruppi di fedeli, nei monasteri, nei conventi e nelle case, pregano in orari prestabiliti di notte all’alba, a mezzogiorno, al tramonto e prima di coricarsi.
Le preghiere dei cristiani sono di due tipi: le preghiere che Gesù stesso ha pregato, cioè i salmi. La preghiera che Gesù ha insegnato, cioè il Padre Nostro. Altre preghiere sono molto diffuse e altre sono lasciate alla libertà e alla creatività.
10. Simbolica: la basilica di Sant’Ambrogio come Gerusalemme celeste
In alcuni casi il luogo di culto cristiano cattolico può ispirarsi o può contenere tracce che consentono di riferirlo alla simbolica della Gerusalemme Celeste, una simbolica di tipo escatologico. Questo riferimento, tuttavia, non è sempre percepito chiaramente e da tutti a meno che nella chiesa siano presenti oggetti che richiamano esplicitamente l’immagine stessa della Gerusalemme celeste. Gli elementi che rinviano a tale simbolica possono essere ridotti a cinque: il numero (quattro; dodici); le forme geometriche (il cubo); la materia preziosa (oro, pietre preziose) , la provenienza della luce (la luce dall’oriente, la luce dall’alto), le immagini (gli angeli, i santi, il Padre celeste, il Risorto).
Nella basilica di Sant’Ambrogio questi elementi sono presenti anche se il riferimento alla Gerusalemme Celeste non risulta così evidente.
Più che nell’architettura e nelle opere d’arte i segni di tipo escatologico sono più frequenti nei riti e nelle preghiere.
11. La soglia
Per entrare in una chiesa cattolica si varca l’ingresso che può essere preceduto da un sagrato, da un porticato aperto o chiuso, da un atrio da un portale monumentale. Cioè, l’ingresso è graduale ed è caratterizzato da tre segni: il capo scoperto per tutti, per i cristiani il segno di croce con l’acqua colta dall’acquasantiera a ricordo del battesimo, il silenzio per tutti. Tuttavia non si varca una soglia. Non si passa dal profano al sacro. (La chiesa è luogo dedicato ma non è luogo sacro.) Ci si prepara gradualmente a un incontro.
12. Le immagini
In un edificio destinato al culto cristiano cattolico, sia all’interno, sia all’esterno sono ammesse le immagini. Sono obbligatorie solo le immagini del Salvatore, di Maria e del santo patrono.
Sono ammesse le immagini contestuali alle celebrazioni nel battistero, nell’abside, nella navata, nella contro facciata.
Sono ammesse anche altre immagini dei santi e delle sante più amate dai fedeli. Tuttavia con misura. Si cerca di evitare che le immagini diventino protagoniste mettendo in ombra le persone riunite in assemblea e le celebrazioni in atto.
Grazie alle immagini l’assemblea dei fedeli riuniti in chiesa o chiunque entra in chiesa per qualunque motivo avverte che non c’è lontananza tra il cielo e la terra e che la Chiesa celeste si affaccia alla Chiesa terrestre.
13. Le dimensioni e le forme delle chiese
Gli edifici di culto cristiani cattolici esistenti sono di dimensioni variabili. Si veda ad esempio la basilica di Santa Maria degli Angeli ad Assisi che contiene la minuscola chiesetta della Porziuncola.
San Pietro in Vaticano e le cappelle nel bosco progettate per la Biennale di architettura di Venezia 2018
Le dimensioni sono decise in relazione al servizio che la chiesa deve svolgere. Come criterio generale, tuttavia, la dimensione di riferimento è l’assemblea celebrante. Nel caso di una chiesa parrocchiale un’assemblea celebrante non dovrebbe superare le 350 – 400 persone.
A differenza di quanto è avvenuto negli ultimi secoli, le chiese dovrebbero essere presenze avvertibili ma discrete nel tessuto urbano o nel paesaggio. Non nascoste. Non edifici imponenti ma invitanti. Non edifici che ambiscano a qualche forma di centralità. La Chiesa sa di non essere più centro della società ma presenza attiva al servizio della società. Formalmente gli insediamenti cristiani dotati di luoghi di culto dovrebbero essere più somiglianti all’edilizia residenziale che agli edifici pubblici. Ispirati alla semplicità. Solidi, manutenibili, sostenibili, accessibili. Dotati di accessi differenziati per essere aperti a tutti, senza esclusioni, in relazione alle variabili domande di chi bussa e ai servizi che gli insediamenti stessi intendono svolgere.